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Quando ci viene chiesto di firmare un documento informatico senza dover ricorrere a particolari procedure identificative, è molto probabile che quella che andremo ad apporre sia una firma elettronica semplice (FES).

Questa viene definita dal Codice dell’Amministrazione Digitale come un “insieme dei dati in forma elettronica, allegati oppure connessi tramite associazione logica ad altri dati elettronici, utilizzati come metodo di autenticazione informatica”. Si tratta del metodo di sottoscrizione di documenti informatici più snello e veloce, ma, al contempo, è quello che offre meno garanzie, ad esempio: (i) non c’è prova che il testo non venga modificato successivamente alla firma; (ii) non  v’è sicurezza sull’identificazione del soggetto che sottoscrive.

Un esempio classico di FES è la firma per immagine apposta su un documento informatico. Inoltre, rientrano nella classificazione di FES anche firme che offrono maggiore sicurezza rispetto alla loro provenienza, come quelle mediante codice OTP o che richiedono una verifica tramite email, ma che comunque non garantiscono un’esatta identificazione del firmatario.

Questa tipologia di firma, secondo l’art. 20 del CAD, non è sufficiente per la sottoscrizione dei contratti previsti dall’art. 1350 c.c., che richiedono la forma scritta ai fini della validità dell’atto, ma, secondo la Cassazione (ordinanza 9413/2021), è idonea a soddisfare il requisito di forma scritta in tutti gli altri casi in cui la legge lo richiede. Non fa piena prova in giudizio, ma rappresenta un elemento liberamente valutabile dal giudice.

La pronunzia in esame, in particolare, si soffermava su un’ulteriore tipologia di FES, ossia quella tramite point and click; questa viene apposta al documento semplicemente spuntando con il mouse una casella elettronica, e prestando in tal modo il consenso alla conclusione di un contratto.

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